Alexis Gouin, Ritratto
d’Alessandro Dumas (1851),
Parigi, Museo D’Orsay (foto: R.M.N.)
Immagine unica, su placca di cuoio ricoperta d’argento, dai riflessi cangianti, lucida e spesso riflettente come uno specchio – al quale è stato spesso paragonato -, il dagherrotipo rimane ancora, soprattutto in Francia, l’aspetto trascurato degli albori della fotografia. Numerose sono le storie della fotografia che si limitano ad un breve accenno all’invenzione di Daguerre, alla quale sembra legarsi solo la mania del ritratto, sfruttata da Daumier e Nadar: una moda che attraversa tutta un’epoca durante la quale sono in molti, persone importanti e perfetti sconosciuti, a posare, belli diritti, ma con risultati abbastanza bui, davanti all’obiettivo. Il dagherrotipo appariva allora solo con un tentativo, certo brillante, ma fallito, nello sviluppo della tecnica fotografica.
Il dagherrotipo era destinato a modificare in modo definitivo lo sguardo posato sul mondo e le conseguenti rappresentazioni artistiche e scientifiche. E’ proprio “quest’arte nuova, nata nel mezzo di una vecchia civiltà”, secondo le parole usate dall’esperto Guy Lussac nel 1839, che questa mostra, aperta fino al 17 agosto 2003 al museo D’Orsay, intende far scoprire riferendosi alla produzione francese.
La mostra riunisce, seguendo un approccio tematico, all’incirca 300 lavori, la gran parte mai esposti al pubblico. Per la prima volta sono esposti alcuni degli “incunaboli” del dagherrotipo: nature morte e vedute di Parigi, opere di Daguerre e di altri pionieri degli anni 1839-1840.
Seguiranno le vedute di Francia, documenti ricchi di poesia sulla Parigi prima dei grandi lavori del barone Haussmann, vedute delle città di Lione e Nantes prima del 1845, le prime fotografie scattate sulle Alpi e durante viaggi all’estero, opere di dagherrotipisti francesi, molto spesso degli appassionati cultori, che hanno portato al loro ritorno vedute, ritratti e paesaggi dell’Egitto, dell’Estremo Oriente, della Grecia, della Siberia, della Martinica e persino della Nuova Caledonia.
Una ricca sezione della mostra indaga i numerosi legami tra le scuole di Belle Arti e questo nuovo “intruso”: dagherrotipi di nudi, tra erotismo e accademia d’arte, figure di grandi romanzieri che hanno scritto sulla nuova tecnica, se non addirittura l’hanno praticata (Hugo, Nerval, Dumas, Balzac), fino all’impiego di questo procedimento da parte dei pittori (riproduzioni di opere, studi di animali). Parallelamente un’altra sezione tratta alcuni grandi cultori di questo genere, già conosciuti come Bayard, Humbert de Molard, o totalmente sconosciuti alla storia della fotografia come Eugène Le Boeuf, la cui pratica può essere assimilata ad un procedimento artistico. La scienza è presente attraverso la medicina – le prime fotografie ottenute con l’aiuto di un microscopio – la fisica, l’astronomia, e soprattutto l’impiego del dagherrotipo da parte degli antropologi.
Inoltre, ogni sezione è anche l’occasione per meglio comprendere le mutazioni tecniche del processo verificatesi durante gli anni quaranta: la colorazione, la messa a punto di processi d’incisione dagherriana, la creazione di sostanze acceleranti che limitavano i tempi di posa. Sono esposti infine dei documenti dell’epoca: giornali, caricature, dipinti sul tema del dagherrotipo, oggetti (gioielli realizzati con dagherrotipi, accessori dei dagherrotipisti), per rendere pienamente la rivoluzione provocata dalla comparsa del dagherrotipo.
La mostra ambisce dunque a studiare il dagherrotipo non solo nella sua dimensione estetica, tecnica e documentaria, ma a presentarlo anche come un vero e proprio “fenomeno sociale”.
Informazioni. Orari: tutti i giorni, eccetto il lunedì, 10-18, giovedì 10- 21.45; domenica 9- 18
Biglietto: entrata al museo + mostra : intero 7 €, ridotto 5 €
Ingresso: visitatori singoli da quai Anatole France, per i gruppi entrata da rue de Lille
Catalogo: Le daguerréotype français. Un objet photographique, éditions RMN, 60 € circa
Giornale di mostra: 3 €
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