Testo e foto: Brunella Marcelli
Vallo di Bovino (Foggia) – Respirare il territorio, alla ricerca dell’identità dei luoghi. Prendersi il lusso di poter fare l’esperienza di un turismo diverso, fatto di sensazioni ed emozioni, di reali esplorazioni nei pensieri, d’immaginazione ed evocazioni di memorie. La stazione di posta nel Vallo di Bovino, detto il Vallo dei Briganti, è un’immagine quasi metafisica, ferma nel tempo, che può assurgere a simbolo. Un vuoto tanto pieno da poter raccontare i destini e le vicissitudini di un intero territorio.
Nel vuoto assolato del suo complesso color ocra, possiamo immaginare tante vite, tanti flussi di individui che hanno attraversato questo luogo. Fughe, inseguimenti, uomini fuorilegge.
Il Vallo di Bovino si lega nell’imaginario, in primis, a storie di briganti che in questo luogo di passaggio trovavano il posto ideale per attacchi a carrozze e diligenze. E non possiamo dimenticare l’importanza strategica della località nel passato. Nei tempi antichi Bovino si trovava sull’unica via consolare tra Napoli e la Puglia. Ecco perché la stazione di Posta, come luogo di transito, può raccontare secondo gli studiosi millenni di storia. Mansio in età augustea, ossia anche allora stazione di posta con alloggi e scuderie per quanti viaggiavano lungo la via consolare Minucia. Il tracciato della strada sarà ripercorso successivamente dalla via Appia Traiana. Con il decadimento della rete viaria, dopo crollo dell’impero romano, si trasformò in Mutatio, ossia semplice stazione per il cambio dei cavalli dove usufruire dei servizi annessi per proseguire il viaggio.
Uomini fuori dalle regole, dignitari romani, uomini in viaggio e infine i pellegrini in cammino verso il Santuario di San Michele a Monte Sant’Angelo e in Terra Santa. Uomini sempre in cammino.
Così come racconta l’identità del luogo e dei suoi processi produttivi “Lo Moleno d’Acqua” del ‘600, monumento storico che attesta anche l’antica vocazione cerealicola della Provincia di Foggia. E’ questa una narrazione che parla di ingegno, di fatica, di trasmissione di saperi, ma soprattutto di passione. Quella che trasmette il signor Grasso, l’attuale proprietario, mentre guida nell’impianto di macinazione ancora in uso, soffermandosi su ogni attrezzo e sul suo utilizzo. Infine, l’antro azzurro delle meraviglie. Il mulino è in azione, grazie all’acqua del torrente Cervaro che, convogliata in un serbatoio, viene fatta cadere su una ruota orizzontale sotterranea.
Grasso racconta di voler continuare i lavori di recupero dell’intera struttura. Progetta di costruire anche un forno per seguire l’intero processo, dalla coltivazione del grano (Senatore Cappelli e altre antiche varietà), passando per le fasi di lavorazione, fino alla panificazione. E la storia continua…….
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