È dal Duomo di Castelfranco Veneto che parte la mia scoperta di questa città così generosa di emozioni da donare, ma al tempo stessa discreta, e del territorio che la circonda. All’interno del Duomo di Santa Maria Assunta trovo un’atmosfera particolare. La luce del mattino di giugno stende un manto di serenità tra i banchi e le voci di un coro mi accompagnano lungo la navata e fino alla cappella Costanzo dove mi aspetta la “Pala di Castelfranco” del pittore Giorgione. La triste constatazione della morte del figlio del condottiero Tuzio Costanzo che ha fatto realizzare la pala è rappresentata nel capo chino della Vergine che tiene in braccio Gesù e volge gli occhi al sarcofago di Mattia. Ai lati San Nicasio e San Francesco completano l’insieme. La pala dipinta alla fine del XV secolo è un’opera da cui è difficile distogliere lo sguardo e mi emoziona nel profondo. I miei occhi vagano da un punto all’altro del dipinto. Mi soffermo sui colori, sul drappo di stoffa preziosa che scende dal piedistallo dove siede la Madonna fino al sarcofago, sul paesaggio accennato a tenui tinte e sullo sguardo dei santi. È una delle poche opere attribuibili con certezza a Giorgione nato a Castelfranco, pittore che ha lasciato dietro di sé una scia di meraviglia e di mistero. La mia personale meraviglia è solo agli inizi e dopo aver individuato le prime due tematiche che mi accompagneranno in questo viaggio, l’arte e la spiritualità, mi appresto a scoprire la terza: i prodotti tipici. È sempre l’interno del Duomo e in particolare la sagrestia a suggerirmi di esplorare anche la via del gusto e in particolare il dipinto di Paolo Piazza che raffigura la cena in Emmaus ambientata in quella che è una rara rappresentazione di una cucina veneta del ‘500 con cuoche in piena attività, piatti, pentolame, gamberi di fiume e pollame pronti a essere cotti.
“Il nostro tempo è il passaggio di un’ombra”: queste parole contenute nell’affresco realizzato da Giorgione a decoro della parte superiore di una sala del museo a lui dedicato esprimono la profondità d’animo dell’artista che in questa “striscia” dipinta con due soli colori rappresenta gli strumenti delle arti liberali intercalati da medaglioni con un’effige e da cartigli con delle massime. Si ammirano strumenti musicali e altri utili per lo studio dell’astronomia, piuttosto che per la pittura o la geometria. Casa Pellizzari, che ora ospita il Museo Casa Giorgione è stata ritenuta in passato la casa natale dell’artista e il piccolo museo è una vera e propria immersione nel suo mondo. Lascio l’atmosfera intima del museo e proseguo la mia passeggiata in città. Le nuvole nel cielo di giugno sembrano voler giocare a nascondino dietro la grande torre civica sovrastata dalla cella campanaria e resa unica dalla presenza del quadrante color azzurro dell’orologio e dal leone di S. Marco. È stato Pietro Gradenigo nel 1499 a volerli e testimoniano la lunga dominazione veneziana (1339-1797) sulla città. Mi trovo al centro di questa città circondata da mura di mattoni rossi il cui colore si intensifica al tramonto. Lo stesso accade al castello di forma quadrata da cui Castelfranco ha preso il nome visto che per i suoi primi abitanti era un castello “franco” e dunque senza obbligo di imposte. Passeggio piacevolmente senza una meta particolare e assaporo l’atmosfera tranquilla e ordinata di Castelfranco Veneto. Mi viene in mente che non solo ha dato i natali a un grande pittore come Giorgione ma è lei stessa un’artista che, come tutti i grandi non ostenta, ma ciò che mostra a chi vuol vedere sono veri capolavori.
Per seguire il tema della spiritualità mi sposto un po’ fuori città e raggiungo Riese Pio X. Nella casa museo del papa il cui nome è stato aggiunto a quello della città rivivo la semplicità del papa proclamato santo nel 1954 e che come si legge in un’iscrizione esposta nell’antistante museo era talmente legato alla sua terra d’origine che disse “o vivo a morto tornerò”. Viene voglia di raccogliersi in preghiera in una di queste stanze dove il silenzio invita a riflettere e la dignitosa linearità dell’arredamento crea l’atmosfera simile a quella di una piccola chiesa di campagna. Basta percorrere poco più di tre chilometri per vivere appieno un’altra intensa emozione nel Memoriale Brion donato al Fondo Italiano per l’Ambiente. È stata la vedova dell’imprenditore Giuseppe Brion Onorina a volere la realizzazione di questo particolarissimo complesso funerario che è stato creato tra il 1970 e il 1978 dal grande architetto Carlo Scarpa. Si entra nel piccolo cimitero del paese di San Vito d’Altivole e fatti pochi passi si vive l’emozione del legame di un amore che unisce anche dopo la vita in un’atmosfera unica, con richiami alla cultura giapponese. Lo stesso Scarpa è sepolto nel complesso in un angolo riservato. Entro in punta di piedi in questo insieme di mura di cemento grigio dalle linee squadrate che raccontano emozioni e fanno riflettere sull’indissolubilità di un legame d’amore. Sono tantissimi i significati celati in un’architettura geniale che armonizza culture diverse con il paesaggio della campagna trevigiana. Il momento più commovente si vive davanti ai sarcofagi degli sposi sormontati da un arco. L’idea di posizionarli inclinati uno verso l’altro e provvisti di un basamento basculante è una speranza di eternità per tutti i sentimenti spezzati dalla morte: i sarcofagi sono in marmo prezioso che per logica è inamovibile ma prima di lasciare il memoriale mi piace immaginare che nel silenzio della notte si spostino in qualche modo uno verso l’altro fino a sfiorarsi o, forse, a ritornare in contatto.
Le emozioni si sa vanno compensate con un pieno di energie. Così dopo la visita del memoriale Brion ritorno a Castelfranco Veneto e decido di provare la cucina del “Rino Fior“, ristorante che con il nome (Rino era il nonno dell’attuale proprietario Fabio) racconta una quelle belle storie di famiglie italiane, che portano avanti il lavoro con passione. Il “Rino Fior” è un ristorante dove ci si sente accolti e si gusta una cucina genuina con la certezza che le materie prime sono di prima scelta. Il papà di Fabio, Egidio che lavora ancora in cucina, è riuscito nell’intento di valorizzare un prodotto poco conosciuto, il radicchio variegato di Castelfranco IGP. Questo tipo di radicchio è una di quelle meraviglie italiane che riesce a unire al gusto anche la bellezza: è di colore bianco crema con “variegature distribuite in modo equilibrato con tinte dal viola chiaro al rosso violaceo e al rosso vivo “, recita la scheda tecnica. Viene da pensare che l’equilibrio che riesce a creare la natura si ritrova nei capolavori dell’arte di cui l’Italia è ricca. Per assaporare i piatti del “Fior” a base di radicchio bisogna aspettare l’autunno, ma una sosta in questo ristorante è una vera esperienza del gusto in ogni stagione.
Elvira D’Ippoliti