Agrigento (TidPress). A bordo di un peschereccio alla ricerca del pesce azzurro, tipico delle acque siciliane, prodotto base dell’arte culinaria locale. Un tempo era considerato cibo per poveri, data l’abbondanza di queste specie di pesci nel Tirreno. E’ esaltato al massimo attraverso l’utilizzo di ingredienti tradizionali, che molto spesso richiamano la cucina araba, come la mandorla, l’uva passa, il pistacchio.
Un connubio di dolce e salato, apparentemente “strano”, ma davvero originale. Questa combinazione di sapori è molto utilizzata anche nei primi piatti, come ad esempio nelle trofie con le sarde e l’uvetta, nei secondi (l’agnello caramellato con scaglie di mandorla), nei contorni (insalata di lattuga, pomodori, finocchietto ed arancia) e nei dolci.
L’entroterra offre una varietà orto-frutticola molto ricca. Dal pomodorino ciliegino, piccolo e fragrante al pomodorino “datterino” (dalla forma affusolata, simile ad un Sanmarzano in miniatura), più caro e coltivato soprattutto nei pressi di Agrigento e Licata. Dal “beccamorto” o “barattino”, piccolo melone, a forma di globo, che si consuma ancora non maturo nelle insalate con l’arancia Riberella (coltivate esclusivamente a Ribera), dolcissime, senza semi, bionde ed usate in ogni piatto; dallo zuccheratissimo melone “Cantalupo”(Licata e Favara) all’uva da tavola “Italia” (Canicattì e Mazzarrone), dagli acini grandi, dorati e con aroma di moscato.
Ottimi i formaggi, provenienti soprattutto da Cammarata, unica produttrice della “Tuma Persa”, della “Provola dei monti sicani”, del “Fiore Sicano”, del “Canestrato” e del caciocavallo. Fra i tanti spiccano decisamente la Vastedda del Belice, formaggio a pasta filata, color avorio e dal sapore leggermente acidulo ed il “Caprino di Girgentana”, ricavato dalle tipiche capre girgentane, razza ormai in via di estinzione, caratterizzata dalle lunga corna a spirale attorcigliate. Dal latte di questa capra si ricavano anche la robiola, la caciotta fresca e la caciotta sotto cenere (con sentori di nocciole).
E, come ogni pasto che si rispetti, non può non esserci il dolce! Cannoli e cassata appaiono piuttosto scontati a confronto con i “pupi di zucchero” di Favara, della frutta “marturana”, della “Pasta Elena”, composta da due dischi di pan di Spagna farciti di crema di ricotta e ricoperti da scaglie di mandorle, delle “trecce” di mandorla e miele, dei “ricci” di pistacchio, dei “muffoletti” (pane fatto in casa di semola di grano duro imbottito con ricotta di pecora, spennellato col tuorlo d’uovo e cosparso di semi di papavero o sesamo). Tutti questi dolci vengono prodotti prevalentemente a Favara, chiamata anche città del-
l’ “agnello pasquale”, dolce tipico, a forma di piccolo agnello, composto da pasta di mandorle ripiena di pasta di pistacchio e ricoperto di glassa. La ricetta fu inventata nel Medioevo dalle suore benedettine del Convento di Martorana e ricreata, con l’aggiunta della pasta di pistacchio, dai pasticceri favaresi. Suggestive sono le soste presso le monache di clausura di Palma di Montechiaro e il Convento di S.Spirito ad Agrigento. Nella prima tappa le suore passano attraverso la “ruota” cilindrica, i biscotti ricci e l’agnello, mentre, nella seconda, non trattandosi di monache di clausura, si può assaporare il “cous cous dolce” dalla ricetta assolutamente segreta. Da menzionare sono sicuramente i fratelli Di Stefano di Raffadali, i primi ad aver inventato il panettone col pistacchio e le gustose creme “nocciolosa”, “pistacchiosa” e “mandorlosa”, vendute in barattoli.
Info:
www.regione.sicilia.it/turismo
www.consorziovalledeitempli.it
09.04.2007