Terre d'Europa

Danimarca: l’arte sotto l’arcobaleno

L'ARoS Kunstmuseum nella città di Aarhus è uno dei musei più longevi della Danimarca. Boy, la scultura in fibra di vetro alta cinque metri è uno dei suoi segni distintivi

Danimarca: l’arte sotto l’arcobaleno

Testo: Roberta Mannarella. foto: Domenico Saracino

È sufficiente uno sguardo distratto verso l’alto, in un luogo in cui d’estate il sole non tramonta prima delle 22, per restare affascinati da un arcobaleno circolare sul tetto di un edificio. La passerella specchiata, che tanto ricorda The Infinite Bridge, l’insolito ponte circolare sulla baia di Aarhus, si chiama Your Rainbow Panorama, installazione dell’artista danese Olafur Eliasson, e dialoga con l’architettura dell’ARoS Kunstmuseum, il principale museo d’arte della città di Aarhus e uno dei più grandi del nord Europa. Ad accoglierci all’interno di questo moderno edificio cubico di dieci piani è Birgit Pedersen, Exhibition and Programme Producer, tra le prime testimoni della nascita dell’attuale sede del museo, inaugurata nel 2004. L’ARoS, infatti, le cui lettere maiuscole rimandano al latino ars (arte) e il cui nome in danese antico fa riferimento alla città che lo ospita, è in realtà uno dei musei più longevi della Danimarca. “Un’associazione locale iniziò a raccogliere le opere d’arte nel 1847”, ci spiega Birgit con soddisfazione, “e la prima inaugurazione ha avuto luogo nel 1859. Nel 2009 abbiamo celebrato il centocinquantesimo anniversario della nascita del museo, esponendo le stesse opere della prima mostra”.

Foto: Domenico Saracino

Notiamo così che la circolarità che ci ha colpito fuori, la ritroviamo non solo all’interno del museo – nell’architettura elicoidale delle rampe, nella morbidezza femminile della luce sulle pareti – ma anche in tutta la sua storia, fatta di rimandi, ricorsi, interconnessioni non fortuite. E infatti non è un caso, chiarisce Birgit, che la nuova sede si trovi in una posizione strategica tra il Dokk 1, centro culturale che ospita la Biblioteca di Aarhus, e il quartiere politico-amministrativo della città. Non come un divisorio spartiacque tra ciò che è affine e ciò che alieno, piuttosto come ventre accogliente in cui far coesistere e integrare l’uno e l’altro mondo. Vero e proprio scrigno dell’arte, le cui vetrate, ci suggerisce Birgit, rappresentano i nastri che lo impreziosiscono, l’ARoS è un dono per i suoi visitatori, che aumentano esponenzialmente ogni anno, con una media che si aggira attorno ai 300mila. Numero destinato ad aumentare al completamento (previsto per il 2025) dell’opera monumentale The Dome, a Skyspace, concepita dall’americano James Turrell, artista di fama mondiale del movimento della luce, e che ha contemplato quest’ultima come protagonista indiscussa della sua installazione permanente e site-specific, destinata nei suoi piani a inondare l’intera cupola, modificando la percezione dello spazio e del cielo.

Foto: Domenico Saracino

La prospettiva ormai concreta di questa espansione del museo attraverso il progetto soprannominato appunto The Next Level, rafforzerebbe la posizione dell’ARoS come uno dei musei leader a livello mondiale nell’ambito delle installazioni artistiche. Aspetto di cui apprezziamo la forza simbolica e concettuale già al piano -1, interamente dedicato alle installazioni artistiche internazionali, dalla video-installazione d’apertura di Anri Sala, Take Over, all’incredibile Storm Room di Janet Cardiff, di cui ancora percepiamo vividi i suoni mentre letteralmente ci accomodiamo nella realtà immersiva di Dawn Hours at the Neighbour’s House e come ospiti graditi assistiamo al dipanarsi di una giornata di ventiquattrore in soli otto minuti, piccolo miracolo dell’artista svizzera Pipilotti Rist.

Foto: Domenico Saracino

Quando lasciamo il mondo post-apocalittico di Jonah Freeman e Justin Lowe, risaliamo per la scala centrale, spina dorsale del museo, ancora un po’ intontiti dall’esperienza sinestetica che abbiamo vissuto, sotto lo sguardo meno impressionabile – ma non per questo meno entusiasta – di Birgit, che ci conduce attraverso gli altri piani, dedicati a spazi liberi per accogliere le scolaresche, ma anche ristoranti, una biblioteca, mostre permanenti e temporanee. Tra queste, c’è tempo fino al primo settembre per apprezzare Between Lines, grandiosa retrospettiva che celebra i sessant’anni di carriera dell’artista Richard Mortensen, icona del modernismo danese e figura di spicco dell’Arte Concreta. Gli oltre ottanta dipinti, attraverso giochi di spazi, punti, linee, forme e colori, restituiscono la forza identitaria di un linguaggio visivo deliberatamente semplificato, che affonda le radici nel potere dell’arte e nel suo potenziale di cambiamento sociale.

Foto: Domenico Saracino

Ma è probabilmente Boy il segno distintivo della collezione dell’ARoS. La scultura dell’artista australiano Ron Mueck è difficile da fotografare senza che nessuno vi graviti attorno, e forse è meglio così. È infatti solo nel rapporto con una persona di altezza media che si riescono ad apprezzare i quasi cinque metri della scultura in fibra di vetro, la cui figura è eseguita con una sorprendente attenzione ai dettagli, come le vene o i follicoli peliferi sulla superficie della pelle del ragazzo. Dimensioni e realisticità contribuiscono a rendere l’opera di Mueck un elemento contemporaneo essenziale per il museo, a cui si aggiunge A Girl, rappresentazione altrettanto iperrealista di una neonata in scala gigante, resa anche questa nei minimi dettagli, cordone ombelicale compreso.

Foto: Domenico Saracino

Tra le mostre permanenti fortemente caratterizzanti l’arte danese, da non perdere Human Nature, i cui temi ruotano esattamente attorno a quello che suggerisce il nome: la natura umana. Natura, religione, filosofia e scienza sono al centro di un’investigazione senza tempo e universale, a cui si unisce il folklore dell’arte danese, degli scorci dei suoi paesaggi e dei soggetti di ritratti che hanno una storia da raccontare, come nell’opera di Frants Henningsen: Deserted. But not by friends in need. Quando Birgit ci racconta che la donna nel ritratto è una borseggiatrice che ha rubato il portafoglio all’artista, il quale di rimando le ha chiesto di posare per lui, non sappiamo se crederci, ma ci piace pensare di poterlo fare. Perché – e lo comprendiamo mentre finalmente attraversiamo la passerella arcobaleno che abbiamo fino a questo momento guardato dal basso, in un percorso verso il cielo, come il museo è stato concepito – l’ARoS è il microcosmo della città e della nazione che lo ospita. Uno spazio sperimentale e inclusivo, che custodisce il valore senza ostentarlo, che ha a cuore chi lo abita, in cui l’arte respira e prende vita in un vagito proiettato verso il domani, che ha tutta l’intenzione di farsi voce e cantare la sua storia.

Mentre la città scorre attraverso le vetrate, e la osserviamo cambiare colore assieme ai nostri passi, ringraziamo Birgit e, prima di andare, le domandiamo se esiste un’opera, tra quelle del museo, a cui è più legata. Lei sorride, ci restituisce uno sguardo sereno e poi ammette: “Non riuscirei mai a scegliere. Sono come buoni amici”. Ed è vero, ci viene da pensare. Per qualche motivo, lo capiamo anche noi.

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