06Testo e foto: Paolo Gianfelici
Dresda – Cerco il Militärhistorisches Museum der Bundeswehr (il museo di storia militare delle forze armate della Germania) e arrivo in un parco di Neustadt, oltre il fiume Elba, di fronte al monumento dell’Armata Rossa. Un soldato sovietico è in piedi, il Kalashnikov a tracolla: impugna con una mano la bandiera e con l’altra una bomba a mano. Gli copre le spalle un compagno inginocchiato con il mitra puntato contro un nemico invisibile. Sono i simboli di pietra di un astratto eroismo combattente. Non raffigurano due soldati semplici, due esseri umani coinvolti in una guerra.
Qualche centinaio di metri più avanti mi trovo davanti un edificio neoclassico (l’antico Arsenale), tagliato con una freccia d’acciaio e cemento armato dall’architetto decostruzionista Daniel Libeskind. Un gruppo di studenti adolescenti sosta davanti ad un carro armato candido, parcheggiato vicino ad un tenero alberello. Il mezzo militare sembra sia stato incartato o ricoperto con un tessuto o altro materiale bianchissimo.
Entro nel Militärhistorisches Museum der Bundeswehr e ne uscirò alcune ore dopo, emozionato in profondità dalle cose viste. Le guerre e le armi non sono celebrate, come ancora succede in molti musei del settore.
La novità sta nel fatto che settecento anni di storia militare tedesca sono raccontati dal punto di vista della gente comune, vittima delle violenze belliche.
Le distruzioni, le privazioni, le sofferenze, le violenze sulle persone, militari e civili, sono il filo conduttore dell’itinerario storico attraverso i secoli. E’ diviso in tre sezioni cronologiche: 1300-1914, le due Guerre Mondiali, dal 1945 alla partecipazione di contingenti tedeschi al conflitto in Afghanistan.La freccia dell’architetto Libeskind indica il centro storico di Dresda, distrutto dal bombardamento anglo-americano iniziato nella notte del 13 febbraio 1945. Decine di migliaia di civili morirono, dilaniati dal tritolo e bruciati dal fosforo. In una sala dell’ultimo piano del Museo questo evento tragico è ricordato,insieme ad altri due bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale: Rotterdam e Wielun in Polonia, due città ridotte a cumuli di macerie dalla Luftwaffe. I frammenti della statua “La fanciulla orfana” di Johannis de Graef del 1763, un tempo posta sopra il portale d’ingresso dell’orfanotrofio di Rotterdam, sono esposti accanto alle pietre crepate della pavimentazione di Wielun. In fondo alla sala una terrazza coperta. E’ la punta della freccia. Indica i quartieri devastati e poi ricostruiti. Dresda ha il compito di custodire tra le sue splendide cupole barocche la memoria delle atrocità della storia.
Le teche del museo, in alcuni casi allestite in strettissimi passaggi, in cui hai la sensazione di penetrare ed immergerti anche fisicamente nella memoria collettiva, espongono una quantità impressionante di materiali di documentazione (lettere dal fronte,locandine,filmati,foto, quadri, armi e uniformi ecc) che passano una lente d’ingrandimento sulle vite spezzate degli esseri umani.
Altre sezioni del museo illustrano diversi influssi dell’organizzazione militare sulla società. Come il rapporto tra la ricerca scientifica a fini militari e le successive applicazioni nella vita quotidiana.
L’ingegnere berlinese Konrad Zuse, oberato dall’infinità di calcoli da risolvere per la progettazione di un aereo militare, costruì nel 1941 il primo computer digitale (lo Z3). Anche internet è nata molti anni dopo come rete per la trasmissione dei dati tra unità militari. Per non parlare dei missili, dei satelliti artificiali e dell’energia nucleare.
Poi ci sono le sezioni dedicate all’influsso del mondo militare nella moda(ad esempio le t-shirt), nei giocattoli,nel linguaggio parlato, nella musica.
Molto interessante anche la sezione dedicata agli animali e al loro impiego nelle forze armate: dagli elefanti, ai cavalli, agli asini, ai pastori tedeschi, ai semplici cani usati per far esplodere le mine nemiche.
Questo è stato il trattamento riservato agli “amici dell’uomo” in tempo di guerra.
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Museo di Storia Militare della Bundeswehr
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