1Testo e foto: Paolo Gianfelici
Bomarzo (Viterbo) – Il Sacro Bosco di Bomarzo è un luogo magico dove sono avvenuti tre prodigi. Il primo accadde quando in un’epoca remota nel fondovalle dell’anfiteatro naturale, ricoperto da una fitta vegetazione e solcato da un ruscello, precipitarono enormi blocchi di roccia. Il secondo, quando anonimi artisti per ordine di un principe trasformarono i massi in figure orride, grottesche, seducenti. Il terzo si verifica da mezzo millennio, quando un visitatore oltrepassa la soglia merlata del Sacro Bosco e si trova immerso in un mondo stregato, prodigioso che lo accompagna tra sogno e realtà per tutto l’itinerario.
Scendendo verso il fondovalle tra lecci e quercie incontro il gruppo del Gigante. Il lottatore vincitore con un’agghiacciante espressione impassibile del volto lacera le membra del vinto, immortalato con una smofia di sofferenza straziante.
Poco più avanti si entra in un mondo fiabesco: vicino a una piccola cascata c’è un’enorme tartaruga e accanto una singolare fontana obliqua, sormontata da un cavallo alato. Ma l’atmosfera da favola dura solo un attimo. Scendo di poco lungo il sentiero e mi trovo d’avanti una casa solida e massiccia, apparentemente ben squadrata. Guardandola meglio mi accorgo che le mura portanti sono storte. Ma non solo quelle. Salgo da una scala esterna al primo piano e cerco di attraversare il pavimento per affacciarmi alla finestra. Avverto una stranissima senzazione di disorientamento, in una stanza non più grande di cinque metri per cinque. Mi forzo un po’ ed arrivo al davanzale. Dall’alto la macchia verde del Bosco Sacro sembra ancora più surreale.
La visita prosegue di emozione in emozione che non serve descrivere, perché ognuno le prova in maniera diversa. E’ come fare un’esperienza in quel caleidoscopio di forme e colori che si vive nel dormiveglia (qui però la scala è solo quella del grigio, dal bianco al nero).
Il drago pauroso assalito dal leone, l’elefante da battaglia che stringe con la proboscide un guerriero, l’orco, un enorme mascherone dalla bocca spalancata in cui bisogna introdursi per passare nella grotta e godersi il fresco seduti ad un tavolo di pietra.
Due colossali sirene, una alata e l’altra bicaudata, protette da due leoni, indirizzano l’ultimo ambiguo saluto al visitatore sul fondovalle. Poi si risale e si incontra il tempietto ottagonale. Omaggio alla memoria della moglie Giulia da parte del Principe Vicino Orsini, uomo d’armi e letterato, che nel 1552 ideò questo luogo di paesaggio e di meditazione.
Sacro Bosco, Bomarzo (Viterbo) www.sacrobosco.it