Testo e Foto: Elvira D’Ippoliti
Venosa è affascinante e senza tempo. La natura che la circonda è dolce ed aspra sulle colline coperte di vigneti, sullo sfondo del MonteVulture. I rossi e i bianchi della Cantina di Venosa sono l’espressione fedele ed autentica di questo territorio. “Cento anni fa nel Vulture più di 5000 ettari erano coltivati a vite, racconta Francesco Ferrillo, il presidente della Cantina, oggi sono solo 1500. Il mio sogno è di ritornare a una territorio coperto di vigne”. Un obiettivo grandioso per il turismo locale e l’economia sostenibile. Il Direttore commerciale, Antonio Teora, narra la storia dell’azienda, fondata più di sessanta anni fa, della sua svolta, dopo il 2000, che l’ha resa leader nel mondo nella produzione del vino Aglianico del Vulture Doc e le ha assicurato riconoscimenti e premi in Italia e all’estero. Il progetto sostenibile della Cantina di Venosa inizia nella vigna con la lotta integrata ai parassiti e si estende a tutto il ciclo produttivo. Dal 2019 partirà il progetto “Enoturismo emozionale” che prevede una nuova architettura dell’azienda ed un percorso d’esplorazione, attraverso i cinque sensi, dei vini, dei cibi e delle bellezze artistiche e naturali del territorio.
Tutte le sfumature di rosso, marrone, giallo e verde colorano le foglie delle viti. Sono immerso in uno splendido e luminoso giardino d’autunno. I filari di Aglianico partono dalla strada che corre lungo il ciglio del vallone, un solco largo e profondo, ripido, ricoperto dalla vegetazione spontanea. Venosa, allungata sull’altopiano a breve distanza, appare distante, misteriosa, irraggiungibile. I contorni del Castello, delle case e delle chiese si stagliano sul cielo. L’abbazia della Trinità, separata dal resto della città, affiora sopra gli alberi e i cespugli del vallone, dipinta color sabbia dal sole di novembre.
Dopo qualche attimo di pura contemplazione (sgranocchiando gli ultimi acini d’uva rossa, dimenticati dai vendemmiatori) parto alla scoperta di Venosa. Per entrare in città faccio un lungo giro, obbligatorio per aggirare il vallone, e mi fermo davanti al Castello, su una piccola piazza. E’ un semicerchio con il porticato, una struttura architettonica molto singolare in Basilicata. Il Museo Archeologico Nazionale nel Castello espone il Diadumeno, opera in marmo di età romana imperiale, trafugata negli Stati Uniti e poi restituita all’Italia. In alcune monete della sezione numismatica, coniate in loco, Dionisio tiene in mano un grappolo d’uva, a dimostrazione della millenaria vocazione vitivinicola della città. “Nunc est bibendum”, recita il verso di Orazio, nato a Venosa nel 65 a.C.
Il ristorante al pianterreno dell’antico Palazzo del Balì dei Cavalieri di Malta si chiama il Baliaggio, ma potrebbe chiamarsi anche “Carpe diem”, in onore del poeta latino. I prodotti, i piatti e i vini del territorio che offre sono delle vere squisitezze e nessuno, degustandole, vorrà perdersi “l’attimo che fugge”: il tagliere con salsicce e prosciutto di cinghiale, caciocavallo podolico e pecorino di Moliterno, i peperoni cruschi fritti e alla griglia (con patate o pomodorini), le orecchiette con crema di formaggio fresco, la zuppetta di legumi e gnocchetti. Il tutto accompagnato dall’Aglianico del Vulture DOC Terre d’Orazio con un profumo delicato di frutti di bosco e piacevolmente tannico, perfetto con i cibi della tradizione lucana.
Perdersi nei vicoletti di Venosa è una bella esperienza. Quasi assenti le auto e poche le persone a piedi, anche di giorno. Pochissimi i negozi. La pavimentazione è costruita con i lastroni della pietra locale. L’atmosfera è atemporale. Esco dal piccolo dedalo e vedo in lontananza l’abbazia della Trinità. Mi avvicino alle terme romane dove incontro Antonella Fusco, esperta di storia dell’arte di Venosa. Senza di lei sarebbe stato molto più difficile decifrare il significato di questo sito romano e medievale, poco più grande di un chilometro quadrato, dove nel corso dei millenni è passata la storia con la S maiuscola. Qui si transitava sulla Via Appia che collegava Roma a Brindisi (e quindi anche alla Grecia e all’Oriente). Venusia si è così sviluppata con le sue terme, l’anfiteatro e le case patrizie romane. L’abazia della Trinità è invece legata soprattutto al periodo medievale, alle Crociate, quando Venosa riacquistò importanza sulla via della Terra Santa.
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Quando rientro a piedi è quasi notte. Un gregge di pecore entra nella città e si ferma ad un incrocio che ha per sfondo il campanile della concattedrale di Sant’Andrea. Poi gira a sinistra e scompare. Proseguo fino a un antico lavatoio dominato da un grande leone ruggente. La pietra sui bordi della vasca è incavata, consumata dal lavare e strofinare di panni per secoli e millenni. Un monumento alla fatica quotidiana del vivere.
La Cantina di Venosa
Vasta e la gamma di vini rossi e bianchi della Cantina di Venosa, una della più importanti del Mezzogiorno d’Italia. Il top della produzione è il Carato Venusio, vinificato solo nelle migliori annate, con le uve Aglianico provenienti dai vigneti di almeno 30 anni. Il profumo di frutti di bosco ed il sapore minerale e morbido per l’affinamento di 12 e 24 mesi in barrique. Tra i bianchi il Terre di Orazio Dry Muscat IGT, un bianco aromatico, intenso e avvolgente, con una vena di acidità, ottimo anche come vino da meditazione, e il D’Avalos di Gesualdo Basilicata IGT Bianco di uve malvasie.
www.cantinadivenosa.it
Via Appia, 86 – 85029 Venosa (Pz)
Tel. e fax: +39 0972 36702
Città di Venosa
www.comune.venosa.pz.it