Testo e foto: Paolo Gianfelici
Di recente ho incontrato in Italia, in occasione del “Foro di Roma”, la conferenza annuale dei Capi delle Polizie dei Paesi dell’area balcanica, il Vice Capo della Polizia della Moldavia Gheorghe Cavcaliuc. La conferenza, presieduta dal Capo della Polizia di Stato Franco Gabrielli, promossa dall’Italia per consentire ai vertici delle forze di polizia degli Stati partecipanti di confrontarsi sulle fenomenologie criminali di maggiore allarme sociale, in particolare il terrorismo, il traffico dei migranti e la criminalità organizzata, è un esempio di come la prevenzione sia la conseguenza di un complesso e continuo lavoro di collaborazione internazionale. La prevenzione contribuisce alla sicurezza e alla tranquillità delle persone, senza le quali il turismo di massa perde le finalità di entertainment e relax per le quali è nato.
Gheorghe Cavcaliuc ha assicurato che i turisti stranieri trovano condizioni ottimali di sicurezza all’interno del suo Paese e che le difficoltà derivanti dall’esistenza del territorio autonomo della Transnistria sono meno acute nel 2018, grazie alla collaborazione tra i governi della Repubblica di Moldavia e dell’Ucraina. Inoltre malgrado siano state attuate alle frontiere nuove misure di prevenzione e di contrasto, in particolare nei confronti del fenomeno del terrorismo islamista e della criminalità organizzata, questi provvedimenti sono attuati in maniera che non creino disturbo o disagi ai visitatori per motivi di turismo o di affari. La conversazione con il Vice Capo della Polizia Cavcaliuc è stata un’occasione per ricordare la bellissima visita primaverile di qualche anno fa ai monasteri rupestri sulle rive dei fiumi, di cui ripubblichiamo il racconto di viaggio.
Chisinau – Fino a qualche anno fa quando un abitante della Repubblica di Moldavia si metteva in viaggio per Roma, Parigi o Londra, diceva: “Vado in Europa!”. Durante la visita del monastero rupestre di Tipova sulla riva destra del fiume Dnestr si ha la netta sensazione di trovarsi ai confini del nostro continente. Dall’alto del canyon, dove il fiume ha tracciato il suo cammino, si vede a perdita d’occhio la pianura della Podolia (l’Ukraina e la Transnistria), teatro un tempo delle scorrerie dei mongoli, tartari, turchi e cosacchi. Dentro la ripida parete di pietra, alta più di cento metri, si aprono decine di caverne coperte di muschi. Veri nidi di aquile dove, dal Medio Evo alla Seconda Guerra Mondiale, hanno trovato asilo nei periodi tumultuosi contadini ed artigiani del luogo con le loro famiglie, eruditi, preti, soldati e disertori. Tutto ciò grazie ai monaci che costruirono nella roccia tra il XVI ed il XVII secolo il monastero dell’Assunzione della Vergine Maria, un luogo segreto, mimetizzato dalla fitta vegetazione di querce secolari, aceri, salici.
Una grotta è chiamata la “Camera dei desideri”. Era l’estremo rifugio in caso di pericolo. Per entrarvi bisogna strisciare dentro uno stretto cunicolo, occultato da un masso rotondo. Il luogo, però, non è claustrofobico. Si gode una luminosa veduta sulla valle del Dnestr. D’improvviso, durante la visita, il cielo diventa buio (sono le tre del pomeriggio). Un vento furioso consiglia di arretrare prudentemente verso le pareti interne della grotta-cella. Piove a dirotto e grandina con chicchi enormi. Anche Ludmila, la guida del luogo, è abbastanza spaventata. La tromba d’aria passa velocemente e riprendiamo il cammino lungo i sentieri impervi del monastero rupestre, che ora sono bianchi, come dopo una nevicata. Incontriamo un gruppetto di russi o ucraini che bivaccano dentro le grotte da qualche giorno. La tradizione dell’eremitaggio continua.
Proseguiamo sempre più in basso verso il fiume, dove c’è un eremo antichissimo. Sulla riva la vegetazione è lussureggiante. Bisogna stare attenti: serpenti d’acqua lunghi due metri sono in agguato, pronti a mordere. Non sono velenosi, ma contribuiscono a rendere il luogo poco ospitale e a far girare alla larga i forestieri indesiderati. In ogni modo vale la pena di rischiare e risalire a piedi la riva destra per altri tre chilometri: due torrenti si riversano nel Dniestr e formano due cascate nella roccia.
Il luogo selvaggio e lo stato d’abbandono del monastero rendono la visita ancora più affascinante. Ai tempi di Stalin il KGB cacciò tutti i monaci e trasformò le grotte in depositi di tabacco. Da qualche anno il monastero dell’Assunzione della Vergine Maria è stato riaperto, compresa la Chiesa Alta, sopra il colle, ed è abitato da quindici religiosi.
Da Tipova mi sposto al complesso monastico della Santa Trinità di Saharna, vicino alla città di Rezina. Le strade sono sconnesse, ma questo non ha scoraggiato migliaia di persone a venire qua per festeggiare la domenica di Pentecoste. Il pavimento della chiesa principale è coperto da un tappeto d’erbe tagliate di fresco, su cui i fedeli restano a lungo inginocchiati durante la liturgia. Finita la messa, una folla soprattutto di donne di tutte le età, con la testa coperta da fazzoletti da contadine e i bambini per mano, si disperde per i mille sentieri di questo luogo incantato, all’ombra di querce, noci, frassini, tigli e ciliegi. Il torrente Saharna dà origine a ventidue cascate ed in quella più bella l’acqua ha forato una cupola naturale di pietra. Tutto è stato creato da tre architetti: il tempo, l’acqua ed il vento.
Durante il regime sovietico, il complesso di Saharna fu trasformato in un ospedale psichiatrico. La riapertura al culto non lo ha molto avvantaggiato da un punto di vista estetico. La chiesa principale della prima metà del XIX secolo è stata restaurata utilizzando infissi e pavimenti da abitazione pseudolussuosa. Gli edifici da riparare sono ancora tanti e c’è da augurarsi che non proseguano su questa strada.
Orheiul Vechi, distante una sessantina di chilometri dalla capitale Chisinau è uno dei luoghi più straordinari e più visitati della Repubblica di Moldavia. Il fiume Raut ha scavato per milioni d’anni nella pietra una fortezza naturale lunga un paio di chilometri, stretta qualche centinaio di metri ed alta più di cento, modellandola e circondandola con le sue anse. In una regione di pianure e di basse colline la sua funzione strategica è stata immediatamente compresa dai popoli che hanno dominato la regione. I mongoli-tartari dell’Orda d’Oro qui costruirono nel XIV secolo il capoluogo del loro distretto. Oggi si possono visitare le fondamenta della moschea, del minareto, del caravanserraglio e dei bagni.
Cento anni dopo la sconfitta dei mongoli-tartari, fu costruito Orheiul Vechi moldavo, con il monastero rupestre e le chiese ortodosse. Oggi si arriva a piedi attraverso una stretta galleria nella chiesetta del Monastero “La Grotta”. Nel passato i monaci erano costretti a calarsi decine di metri con le funi per raggiungere le loro cellette scavate nella roccia. Dal corridoio che unisce le grotte si entra in una terrazza di pietra da cui si gode un panorama grandioso e singolare sulla pianura.
Da non perdere è la visita del vicino villaggio di Butuceni con le case d’epoca costruite in pietra, i muri a secco, gli orti a terrazza. Un’abitazione-museo è stata conservata per illustrare come viveva una famiglia numerosa del luogo centocinquanta anni fa: padre, madre, figli e nonni appollaiati attorno e sopra un’enorme stufa che occupa metà stanza. La camera degli ospiti, dove si ricevevano le visite, è, invece, ampia, arredata con bellissimi tappeti sulle pareti e sul pavimento. Spazioso il magazzino, grande e profonda la cantina. I più sacrificati erano i padroni di casa.