Terre d'Europa

Romania
Messaggi di pietra

Testo e foto: Elvira D’Ippoliti



 Sui Carpazi in Transilvania, tra boschi di faggi, alla ricerca delle tracce dei Daci, un popolo misterioso e fiero.

Deva (TidPress) – Una grande spada ricurva “squarcia” il buio sul bordo della strada. Il piedistallo di cemento su cui poggia la rende meno inquietante, ma il benvenuto nella terra dei Daci è comunque riuscito in maniera spettacolare. Per cercare le tracce rocciose di questo popolo, vissuto nell’antichità (dal II millennio a.C. al II secolo d.C.) sul territorio dell’attuale Romania, la motivazione deve essere intensa, ma le emozioni che i Daci donano ancora oggi ripagheranno l’impegno. Sulla “scia” dei Daci è l’odierna Romania a offrirsi allo sguardo del visitatore e lo fa con genuina generosità. A chi non è mai stato qui, sembrerà di andare in visita da una parente che non si è avuto modo di frequentare. Qualche perplessità all’inizio c’è, ma poi basta varcare la soglia della sua “casa” per rendersi conto che la “ricetta di vita” che offre è fatta di natura incontaminata e tradizioni che si amalgamo e convivono – anche se a volte non in simbiosi perfetta – con la vita di oggi. La sensazione di appartenenza è strisciante ma molto netta e rassicurante. Qualcuno in “famiglia” ci ha sempre parlato di lei ed è naturale volerle bene.

Sarmizegetusa Regia, l’area sacra

Sarmizegetusa Regia

I Daci per primi devono aver apprezzato le bellezze naturali di questo paese e nonostante sia certo che le “cetati” (fortezze) da loro costruite avessero funzioni di difesa, è difficile non cullarsi con l’idea che questi abitanti delle montagne fossero in primo luogo adoratori di Madre Natura e che l’ubicazione così particolare dei loro insediamenti nascondesse anche il profondo desiderio di essere a stretto contatto con lo splendido ambiente che li circondava.

Oggi si entra nel loro “regno” (le cittadelle daciche sono state dichiarate Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO) passando sotto una curiosa porta dallo stile orientaleggiante. Due pilastri squadrati sostengono un tettuccio stretto e spiovente. Sulla sinistra il muro “ospita” su sfondo azzurro uno stucco bianco che raffigura un guerriero daco, con tanto di spadone ricurvo. Sul pilastro di destra un romano, rappresentante del popolo che invase, combatté, distrusse il regno dei daci e poi colonizzò la nuova provincia dell’Impero.
Il viaggio comincia su stradine fiancheggiate da sparute case di montagne, ma la “cetate” è ancora lontana. Ai tempi dei Daci non era facile starsene in santa pace, lontano dalla “pazza folla” dei nemici. Le loro fortificazioni sono inaccessibili.

Sarmizegetusa Regia

Sarmizegetusa Regia

In due casi, Costesti e Capalna, le opzioni si riducono a due: ci si “arma” di un efficiente veicolo 4×4, oppure ci si prepara a una lunga salita a piedi. L’ultima ipotesi offre scenari naturali pieni di armonia che in parte si perdono con il percorso in auto. Le indicazioni sono scarse ma molto puntuali e i cartelli sono fantasiosi nei materiali: legno, ferro, alluminio. La parola che indica i Daci in questo caso è “cetate” e il simbolo è una croce rossa (o gialla) su sfondo bianco. A mano a mano che ci si “addentra” nella natura basta anche la corteccia di un albero su cui è stata dipinta una freccia e una croce a indicare la strada.

A Costesti sui Muntii Orastiei (dove si trova un sistema di cittadelle costruite dal re daco Burebista, I secolo a.C., e distrutte dai romani dopo la sconfitta del re Decebal, 105-106 d.C) il fuoristrada procede con facilità su per un sentiero sterrato, affiancato da alberi da frutto e qualche fattoria che a modo suo irradia serenità. Dopo una curva lo sguardo si sofferma con un sorriso sul delicato disegno colorato e naif di un Cristo crocefisso circondato da santi. A pochi metri, affissa su un albero, una freccia di legno recita: Costesti Cetatuie 200 m. Per l’auto è come un soffio e già si può parcheggiare per percorrere la piccola restante salita a piedi. I Daci sono lì, in alto, regali e isolati e due “bastioni” di terra creano una breccia verso le loro pietre. Tutt’intorno la natura sembra trattenere il fiato nell’attesa di come i (pochi) visitatori reagiranno di fronte alla struttura, quadrata, composta di blocchi di pietra grigia che era la base di un torrione. L’erba in parte gialla e stopposa e in parte morbida e verde, si dispone come mossa dal pennello di un artista per far apparire al meglio le vestigia di un popolo misterioso, la cui dignità è ancora palpabile.

L’aria è carica di energia e si sale con facilità fino a una scala “ufficiale” fatta da pietre simili a quelle già incontrate. Alla sua sommità, protetta da un improvvisato tetto di lamiera, vi è un’altra struttura. Un quadrato con un’apertura su un lato. Un’altra torre? Un tempio? Domande fugaci che si perdono in un punto interrogativo più grande, che riguarda il colore delle pietre: bianco-grigie più in basso, rosso-arancio qui. Il soffice tappeto d’erba che si offre come pavimento alle rovine sottolinea ancora di più il colore inaspettato dei sassi. Ma è la moderna tecnologia a lasciare maggiormente perplessi: quando si punta l’obiettivo della digitale all’interno della costruzione diroccata, le pietre s’illuminano sul monitor, come se un abile scenografo vi avesse puntato contro ad arte dei fari. L’effetto è sorprendente, ma a contatto con i Daci qui ci si godono serenamente misteri e stranezze. La natura che circonda le pietre rosse si rilassa di fronte all’evidente accettazione dello stato di fatto e un cane bianco si affaccia curioso da dietro la collina che in su fa da sfondo ai resti di una costruzione gemella e ugualmente rossa-arancione.

I Daci hanno ormai conquistato appieno la scena e la prossima tappa sarà la loro imponente capitale: Sarmizegetusa Regia. La strada per raggiungerla si snoda – proprio dalla porta “orientaleggiante” – per diciotto chilometri in mezzo alle montagne ed è fiancheggiata dal piccolo fiume Gradistea. In estate, forse, ci si può azzardare a percorrerla anche con una macchina normale, ma dopo una pioggia intensa ci si muove su uno strato di fango e fatti pochi metri, la carrozzeria del fuoristrada è ormai un trionfo di schizzi giallastri. Sulla via per Sarmizegetusa si lavora al consolidamento del fondo stradale che sarà poi asfaltato. Alcuni operai, infagottati in abiti da lavoro e con gli stivali immersi nel fango, sono gli unici “esperti” a cui chiedere se si sta percorrendo la giusta via. Nei loro occhi s’immagina di leggere una perplessità che è facile condividere: sarà saggia la scelta di rendere più accessibile questa città e i suoi messaggi di pietra?

Superata qualche ripida curva a gomito, che aggiunge difficoltà al fango, i Daci si presentano con i resti di due torri poste su una radura al limite di un bosco. Seguendo la linea del muro che circonda la città, affiancato in parte da una strada lastricata di pietre ancora ben visibile, ci s’inoltra nel verde. La vegetazione è fitta e “stilla” un’umidità che “ammorbidisce” sotto forma di muschio le pietre lavorate dai Daci. Poi gli alberi si fanno da parte e lasciano spazio al nucleo di Sarmizegetusa Regia, quasi interamente dedicato alla forma geometrica del cerchio. Dopo tanto squadrato rigore, perché questa variazione? Ma questo tipo di riflessioni segue in un secondo tempo. Il primo impatto è con l’atmosfera inquietante, favorita da una bruma che sfuma i contorni delle pietre, che si percepisce quando con lo sguardo si abbraccia l’insieme. Una moltitudine di sassi lavorati come pezzetti di un “Lego” arcaico sono stati conficcati nel terreno a formare un grande cerchio. Al suo interno altri due cerchi fatti di pali di legno di diverse altezze. A pochi metri un grande disco di pietra poggiato sull’erba, da cui parte un’altra fila di pietre. Il disco è suddiviso in spicchi e lungo il bordo è “segnato” da precise “tacche” rettangolari dal significato oscuro, come tutto il resto. E poi ancora sassi “piantati” nell’erba a formare rettangoli e quadrati, resti di quelle che potevano essere colonne allineate come soldati, un canale di scolo che finisce nel nulla.

La Tavola del Sole

Si guarda e si riguarda il tutto ed i particolari, con il tempo che sembra essersi fermato negli occhi, ormai senza più domande. Si rimarrebbe lì, affascinati e “prigionieri”, se non fosse per l’umidità che comincia a penetrare nei vestiti. Il ritorno è ammantato di silenzio e il rifugio più sicuro appare il piccolo agriturismo dove si passerà la notte. La padrona di casa ha un sorriso aperto che racchiude tutto il calore umano della Romania. Non è stata avvisata riguardo alla cena, ma non si scompone all’idea di improvvisare qualcosa per gli ospiti. Prende dal frigo un pentolone di ciorba (minestra) e lo mette a sobollire sul fuoco, poi affetta salumi, formaggi, peperoni e cipolle. Il tutto si accompagna con la birra rumena. La sua casa è come quella di Biancaneve e se tutte e tre le stanze dalle pareti di legno sono occupate, si dovrà dividere il bagno con gli altri ospiti. Ma la notte sotto il suo tetto è tranquilla e riposante come quelle dell’infanzia e la sua colazione così abbondante e genuina da riempire di energia e di buon umore per tutta la mattinata.
I misteriosi cerchi dei Daci continuano a trattenere il loro incomprensibile messaggio, ma la Romania è tutta un invito di accoglienza che è facile accettare.

Informazioni utili:

Ente Nazionale per il Turismo in Romania
Via Torino, 95 (Galleria Esedra) – 00184 Roma
Tel. 06 4880267
www.romania.it
office@romania.it

30.09.2008

“Porta d’ingresso” al Regno dei Daci

In viaggio verso le fortezze daciche
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